giovedì , 28 Marzo 2024

TEATRO BRACCO

Il “Teatro Bracco”, già “Tarsia”, fu inaugurato il 29 maggio del 1962 alla presenza delle più alte personalità dello Stato, della Provincia e della Cultura. Ma solo l’anno seguente, nel marzo del 1963, esso aprì definitivamente le sue porte al pubblico dando inizio ad una stagione di prosa napoletana che avrebbe dato lustro a testi di autori classici e moderni – quali Pietro Trinchera e Domenico Romano, Rocco Galdieri e Francesco Cerlone – e messo insieme un “cast” di attori e registi di grande talento, dando inizio alla regolare attività della Compagnia Stabile Napoletana.

Da allora, calcarono quel palcoscenico attori di grande fama ed esordienti, come del resto era già accaduto quando anni prima – negli anni Trenta – quella stessa struttura era chiamata “Sala Tarsia” e vi venivano rappresentate le opere di Di Giacomo e di Bovio, di Scarpetta e di Pietriccione, di Murolo e di Starace.

Inoltre, quel teatro sorgeva in un luogo “storico” di Napoli: quelli che una volta erano i giardini del settecentesco Palazzo dei Principi Spinelli di Tarsia e che, col tempo, furono trasformati, prima in un mercato all’aperto e, poi, in una famosa sala per le esposizioni. Dopo secoli di trasformazioni, grazie alla premura di Salvatore Emmanuele, direttore dell’ENAL, il “Teatro Bracco” era finalmente diventato un luogo di divertimento e cultura.

Salita Tarsia molti l’hanno vista, nel celebre “L’Oro di Napoli” di Vittorio De Sica: Totò scendeva da quella strada vestito da pazzariello per l’inaugurazione di un negozio di alimentari. A casa lo aspettava un camorrista che aveva preso Totò e la sua famiglia per albergo, facendo il bello e il cattivo tempo. Ma salita Tarsia, come via Tarsia e i vicoli vicini, quasi più nessuno ricorda che sono parte del più bello, più grande e sfarzoso palazzo che Napoli abbia mai avuto, Palazzo Spinelli di Tarsia. Di questo palazzo oggi bisogna più immaginare che vedere, poiché una facciata interna e un corpo di fabbrica non piccolo ancora esistono, con tanto di stemma nobiliare e di ridipintura fresca, ma l’insieme, per chi non abbia mai visto il disegno di Domenico Antonio Vaccaro, non è nemmeno sospettabile.

Oggi percorrendo via Tarsia due cose balzano all’occhio: Palazzo Gravina, anche questo di ricca facciata e di incantevole cortile, occupato dall’Università, e il Teatro Bracco, fra i cui cartelloni compare anche l’insegna della polizia, con accanto l’istituto nautico. Di fronte, in linea d’aria, campeggiano San Martino e Sant’Elmo; in basso, invece, si cade nella trama della Pignasecca fra la nuova stazione della Cumana e della Funicolare di Montesanto.

Il Teatro Bracco, ridipinto di rosso fuoco insieme all’Istituto Nautico, sono la parte di edificio più avanzata dell’antico Palazzo Tarsia, mentre i corpi di fabbrica più distanti si perdono salendo sulla collina, dove i grandissimi giardini settecenteschi sono diventati un putiferio di case, casaroppole e palazzi. Sulla destra c’è anche l’Istituto Margherita di Savoia, e altri palazzi di minore rilievo ma non meno balli.

Largo Tarsia, al cui numero 2 si apre la facciata di Palazzo Spinelli con lo stemma a tre stelle, è un piazzale interno all’edificio di rara eleganza rococò. Inizio a contemplare: grazie al prezioso libro di Aurelio de Rose, “I palazzi di Napoli”, mi sono resa conto di ciò che ho sempre guardato senza vedere. L’incisione su rame di Vaccaro è sublime: nel 1730 Ferdinando Vincenzo Spinelli, principe di Tarsia, aveva incaricoato il celebre architetto di ridisegnare un vecchio corpo di fabbrica già posseduto dalla famiglia sin dal 1500. Corte, giardini, persino un serraglio era qui previsto. Una descrizione del 1798 racconta dei grandi loggiati e persino di una magnifica biblioteca che Spinelli aveva aperto al pubblico. Una specie di riedizione dei giardini pensili di Babilonia questo palazzo, fatto a terrazze digradanti, con statue in marmo delle quattro stagioni, le volte dipinte in oro e le volte affrescate. Spinelli era un appassionato di scienze e di matematica, un cultore della biologia. Solito fare discussioni lunghe con Vaccaro, cui indicava i suoi inderogabili desideri, dettato per altro da una cultura vastissima e da frequentazioni di livello europeo, che certo dovettero essere ospitate dal palazzo in costruzione. Era qui, anche un osservatorio astronomico. La costruzione aveva previsto anche una ampia strada di ingresso, perché il sole fosse sempre presente e il panorama verso il mare e collina sempre visibili.

La famiglia Spinelli aveva opere d’arte in quantità in questo palazzo, inclusi disegni del Bernini. Di Ferdinando Vincenzo, gentiluomo di camera di Carlo III di Borbone, restano due magnifici ritratti del Solimena, uno conservato a Capodimonte del 1741, l’altro sul mercato delle vendite datato forse 1730.

Fatto sta che gli Spinelli di Tarsia si estinsero. Nel 1840, fu progettato un grande mercato, per la zona che andava dall’attuale calata Tarsia e Porta Medina. Il progetto fallì, perchè i venditori non si vollero trasferire in questo nuovo spazio, che invece ospitò le Manifatture del Regno in mostra, e poi il Reale Istituto di incoraggiamento, e infine la sala cinematografica e teatrale intestata al grande drammaturgo Roberto Bracco, oggi attiva e fresca di restauro.

Resta il sogno di Palazzo Tarsia, ma qui è bello comunque.

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